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Cos’è un anno nella vita delle persone, quanto ci cambia e quanto dura? Come misurare questo tempo e gli attimi che lo compongono? I pensieri mi si affollavano senza che trovassi la strada per ordinarli venerdì 18 settembre di fronte all’ “Ob Ob Fashion” la sartoria dove un anno fa erano stati uccisi sei nostri fratelli africani.
Io e Asad dell’A3f eravamo alla commemorazione dell’anniversario per portare un saluto. In realtà ci siamo trovati con grande delusione ad assistere ad una parata: in testa il gonfalone della Regione Campania, nota per gli scandali dei rifiuti, l’assessore al lavoro, che reprime i disoccupati in piazza e famoso per la sua politica clientelare. Insomma i soliti noti con annesso corteo di giornalisti e portaborse. La parziale eccezione era rappresentata da alcuni religiosi e associazioni di volontariato.
Accanto a me c’era Stephen, zio di Francis uno dei ragazzi uccisi, il quale non era stato neanche invitato dagli organizzatori della parata.
I miei pensieri quindi pur se nello stesso spazio seguivano un altro tempo. Ritornavano alla sera della strage alle prime telefonate alle notizie della rivolta che si era scatenata per le strade.
In serata era arrivata notizia della strage, per i giornali si trattava di un regolamento di conti. La reazione dei fratelli, degli amici per le strade di Castelvolturno però a nostro avviso dimostrava un’altra storia. Lo dimostrava. La tentazione di correre subito sul luogo lasciò il posto a una più ragionevole necessità di reperire informazioni attraverso le nostre fonti. Tutti quelli a cui chiamammo, soprattutto ghanesi e nigeriani che vivevano lì, ci assicurarono che a morire erano state persone comuni. Il giorno dopo a Napoli si festeggiava S. Gennaro, il santo dal sangue famoso, mentre quello versato ingiustamente dai nostri fratelli veniva sporcato ancora una volta dalle menzogne della stampa. In quei giorni preparavamo il 4 ottobre una manifestazione contro il razzismo e per l’accoglienza. Era una occasione di riscatto di giustizia da offrire a chi in quel momento soffriva.
Arrivati a Castelvolturno lo scenario era agghiacciante: davanti al luogo della strage tanti fratelli e sorelle africani ma nessun bianco si avvicinava. Le macchine che sfrecciavano sulla Domiziana rallentavano curiose ma nessuno che aveva il coraggio o l’umanità di scendere e portare un saluto a quella gente. Tra tante corone di fiori, solo una lettera di una donna scritta a mano che accusava tutti gli italiani per il modo in cui vivevano gli immigrati esprimendo pietà per quelle povere vite spezzate. Incontrammo Cristopher, centinaia di fratelli che avevamo conosciuto in questi anni e che si erano spostati per lavoro a Castelvolturno.
Ritrovammo Stephen con cui avevamo lottato nel 2002 a Qualiano per la casa, e sapemmo da lui che suo nipote era tra quelli uccisi. I giorni successivi furono febbrili, accesi dalla speranza e accarezzati dal dolore. Sapevamo che la nostra forza era nello stare uniti. In decine di assemblee con centinaia di persone facemmo fronte alle pressioni di chi ci voleva dividere come le forze che avevano indetto insieme a Bassolino e a Iervolino la manifestazione di Caserta. Verso il 4 ottobre i fratelli di Castelvolturno, S.Antimo, Palma Campania, Varcaturo e di tutti i luoghi in cui abbiamo le assemblee furono grandi protagonisti. Nella manifestazione furono alla testa e nel comizio finale Cristopher ci spiegò quanto quella lotta valeva un’intera vita.
Ad un certo punto succede che come un gorgo la realtà ti risucchia e il pensiero che prima aveva trovato il suo spazio ora ritorna a quelli angusti del mondo esterno in cui ti trovi.
Ho ritrovato quei volti di circostanza, quelle parole d’occasione e un battere di mani scontato. Accanto a me però c’è ancora Asad e in più Stephen, mentre altri fratelli si sono avvicinati a salutarmi.
La saracinesca della sartoria è serrata come allora e i fori dei proiettili nel muro sono ancora visibili. Dopo un anno sembra che niente è cambiato visto che la violenza da quei luoghi non è stata ancora cancellata, o qualcosa è cambiato per non cambiare niente, come dimostra questa celebrazione politica.
No, sono sicuro che qualcosa permane, qualcosa di forte, di tenace, di antico come la voglia di vivere, di sperare di essere uniti e volersi bene. Noi siamo ancora qui a muovere un desiderio di riscatto, di lottare e oggi prepariamo la manifestazione del 17 ottobre.
Stephen è ancora qui ad accoglierci in casa, ad offrirci da bere, a parlarci della sua terra e di Francis che è sempre nel suo cuore.
Se qualcosa è cambiato in meglio o può cambiare lo dobbiamo a queste certezze, alla forza di essere uniti di organizzarsi e combattere contro il razzismo sempre più violento e più assassino.
Lo dobbiamo alla forza della nostra gente, al coraggio e alla tenacia della nostra associazione che trova motivi sempre più forti per costruirsi e offrirsi a chi vuole cambiare la vita.
Alla fine anche il mondo attorno a me ha ripreso i colori giusti, ritornando a Napoli la Domiziana coincide un po’ di più con una delle tante e sgangherate strade d’Africa: il nero è quello di decine di persone che aspettano l’autobus e la terra è rossa per il sangue versato e portato da donne e uomini coraggiosi.
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